Una innocua frase " missioni di pace " è alla base di tante incomprensioni politiche internazionali e più che altro ha creato e crea una ingiusta non comprensione dell’intervento militare italiano in Afghanistan sia in Italia che all’estero.
La frase missione di pace , di facile comprensione , si complica terribilmente quando gli operatori di pace assegnati sono costituiti da militari attrezzati di tutto punto con elmetti , tute mimetiche , armi automatiche , ecc.
I militari italiani che partecipano alla missione Onu Isaf (International Security Assistance Force )in Afghanistan sono 2.700 per lo più dislocati ad Ovest nella città di Herat con comando Italiano e a Kabul presso il Provincial Recostrucion Team italiano .
La zona dove sono più frequenti i conflitti con i talebani è quella a Sud ed è chiaro che , quando la situazione militare è più tesa , il comando ONU di possa richiedere rinforzi da altre zone.
In pratica però , quando si tratta di menar le mani , i vari comandi delle forze Nato presenti in Afghanistan , possono rifiutare l’ordine e temporeggiare fino a che i politici del proprio paese autorizzano o non autorizzano l’intervento armato. Questo complicato meccanismo ha un nome : " caveat " che per i militari italiani sancisce che non possono essere impiegati fuori della loro zona se non in casi eccezionali e dopo l’autorizzazione del governo che deve decidere entro 72 ore dalla richiesta inoltrata . Vi faccio notare che 72 ore corrispondono a 3 giorni : la cosa è a dire poco comica . Ve lo immaginate un contingente militare che sotto il fuoco nemico aspetta rinforzi ?
L’atteggiamento italiano è stato redarguito nei soliti termini politichesi - internazionali che bacchettano certi atteggiamenti indesiderati con terminologia suadente e melliflua. Comunque l’attuale governo ha come obbiettivo quello di ridurre la flessibilità del caveat da 72 a 6 ore il che vuole dire ridurre di 12 volte le barzellette sulle forze armate italiane presenti in Afghanistan pubblicate sulla stampa internazionale.
E’ un buon inizio.
La frase missione di pace , di facile comprensione , si complica terribilmente quando gli operatori di pace assegnati sono costituiti da militari attrezzati di tutto punto con elmetti , tute mimetiche , armi automatiche , ecc.
I militari italiani che partecipano alla missione Onu Isaf (International Security Assistance Force )in Afghanistan sono 2.700 per lo più dislocati ad Ovest nella città di Herat con comando Italiano e a Kabul presso il Provincial Recostrucion Team italiano .
La zona dove sono più frequenti i conflitti con i talebani è quella a Sud ed è chiaro che , quando la situazione militare è più tesa , il comando ONU di possa richiedere rinforzi da altre zone.
In pratica però , quando si tratta di menar le mani , i vari comandi delle forze Nato presenti in Afghanistan , possono rifiutare l’ordine e temporeggiare fino a che i politici del proprio paese autorizzano o non autorizzano l’intervento armato. Questo complicato meccanismo ha un nome : " caveat " che per i militari italiani sancisce che non possono essere impiegati fuori della loro zona se non in casi eccezionali e dopo l’autorizzazione del governo che deve decidere entro 72 ore dalla richiesta inoltrata . Vi faccio notare che 72 ore corrispondono a 3 giorni : la cosa è a dire poco comica . Ve lo immaginate un contingente militare che sotto il fuoco nemico aspetta rinforzi ?
L’atteggiamento italiano è stato redarguito nei soliti termini politichesi - internazionali che bacchettano certi atteggiamenti indesiderati con terminologia suadente e melliflua. Comunque l’attuale governo ha come obbiettivo quello di ridurre la flessibilità del caveat da 72 a 6 ore il che vuole dire ridurre di 12 volte le barzellette sulle forze armate italiane presenti in Afghanistan pubblicate sulla stampa internazionale.
E’ un buon inizio.
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