Nel 1949 in ottemperanza al trattato di pace firmato a Parigi, dovette essere ceduta all' URSS. Ribattezzata con il nome Dunaj ( Danubio in russo) venne utilizzata come nave scuola ad Odessa nel Mar Nero fino al 1959. Ceduta poi nel 1960 all'Istituto Nautico di Odessa, nel 1961 sarebbe dovuta essere sottoposta ad importanti lavori di manutenzione, che mai furono iniziati, venendo nel frattempo adibita a nave di trasporto per il legno finché nel 1963 bruciò insieme al suo carico nelle acque sovietiche, venendo conseguentemente radiata dall'albo delle navi nello stesso anno. Rimasta abbandonata e semidistrutta per altri otto anni fino al 1971 anno nel quale fu definitivamente demolita.
Il pittore Guidi Gino : per lui
un ritratto era solo un gesto
d’amore.
Per questo sono proprio pochi i ritratti fatti da Gino Guidi , con tecniche diverse :dal disegno a matita , al disegno acquerellato e all’olio su tavola . In ogni ritratto , pochi segni hanno cristallizzato per sempre non una espressione ma la personalità del personaggio , il riassunto dei sentimenti. Chi si rivede nel ritratto ha un sussulto provocato dal riaffiorare dello stato d’animo di quell’epoca ; se l’osservatore conosce o ha conosciuto anche solo un po’ il personaggio ritratto ne ricorda alcuni atteggiamenti tipici .
olio su tavola 30x50 " Iolanda "
olio su tavola 30x50 " Orestino " "
Ricordo un autoritratto che mio padre si fece allo specchio , era estremamente somigliante a tal punto che però io, bambino , mi intimorivo osservandolo : vedevo perfino muovere gli occhi ! Peccato che ne ho perso le tracce .
disegno a matita su carta 20x20 " i fidanzatini "
disegno su carta acquerellato 21x33 " Mauro " 1956
Mia figlia Silvia gli chiese più volte di farle un ritratto , ma il nonno Gino non accettò mai. Dopo la morte dell’amatissima moglie per lui i gesti d’amore erano diventati troppo difficili.
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Il pittore Angelo Sirio Pellegrini
( 1908-1997 ) e il pittore Guidi Gino : un giorno si scambiarono una promessa.
Il pittore Guidi Gino era un isolato , pittoricamente parlando . Eccessivamente riservato o " timido " come si auto definiva non amava confrontarsi con i suoi colleghi , penso soffrisse di una forma di " nichilismo artistico " sviluppatosi fino da quando , giovanissimo , vivendo in famiglia con il fratello maggiore Guido ,già pittore conclamato, non volesse mettersi con lui in competizione.
Questa rinuncia lo ha portato per tutta la vita ad autoescludersi , come se la sua arte potesse in qualche modo " stonare " in una famiglia dove già altri avevano intrapreso quella via e l’ambiente pittorico livornese non lo ha certo aiutato a rimuovere questa ossessione . Ogni volta che esponeva una sua opera era inevitabile il paragone con il più famoso fratello. Paragone che era per lui sempre una pugnalata nell’anima , sia che fosse a lui favorevole o sfavorevole. Perché lui era prima di tutto il più grande estimatore di Guido.
Una delle sue poche frequentazioni artistiche che ricordo, sono state al Circolo Culturale Antonio Amato in via Michon a Livorno dove ebbe modo di conoscere e tessere una amicizia con il pittore Angelo Sirio Pellegrini , anche lui persona riservata .
olio su cartone telato 30x40 A.SirioPellegrini
dedica dell'autore
Pellegrini ( 1908-1997 )esordì ancora giovane nel mondo pittorico con una personale datata 1936 a Bottega d’Arte a Livorno , ma è il 1948 l’anno fatidico con la sua personale adesione al movimento d’avanguardia Eaismo . Lui stesso ,insieme al pittore Voltolino Fontani, al poeta Guido Favati , al poeta-pittore Marcello Landi e al pittore Aldo Neri fondarono questo movimento ispirato dalla fissione dell’atomo ( Era Atomica-ismo)che si proponeva di inserire in ogni singolo dipinto ed in ogni singola poesia la scomposizione della materia ed altresì la contemporanea presenza dell'uomo.
Mio padre mi riferì anche di una sua visita allo studio di Pellegrini dove si intrecciarono discussioni sulla pittura ; certo uno scambio di idee tra sordi , ciascuno di loro aveva giustamente un proprio ideale pittorico che stava stretto all’altro. In sintesi Sirio cercava ispirazione nel futuribile mentre Gino ripensava al vecchio per ridimensionare il nuovo. : comunque sia scoccava la scintilla che dava forma a belle creazioni reciprocamente apprezzate.
La visita si concluse con l’impegno di scambiarsi un quadro.
UN OMAGGIO ALLA MANO
Tutti consapevolmente od inconsapevolmente abbiamo un rapporto speciale con le mani perchè sono i fedeli servitori dei nostri voleri. Non ci tradiscono mai ( o quasi ) , talvolta addirittura sono gli strumenti fondamentali per la realizzazione di un capolavoro. Pensate ad un pianista , ad uno scrittore , ad un pittore e capirete come possono amare le loro mani.
Tutto qui il senso del disegno che vado a presentare. mio padre era destro ,avrebbe quindi preferito "omaggiare "la sua mano destra, ma ovviamente era impossibile tenerla ferma " in posa ".
Guidi Gino-La mia mano sinistra-disegno a matita su carta cm.21,5x19 -anno 1948
Quel giorno che mio padre Guidi Gino conobbe il pittore Giovanni Bartolena
Giovanni Bartolena Marina a Castiglioncello (1925-1930) olio su tavola, cm 26x37,8
L’incontro avvenne per merito di Jolanda Terramocci , la fidanzata , futura moglie che abitava in via Marradi ( angolo via Cambini ) al 2° piano di un edificio centrato da una bomba e raso al suolo durante un bombardamento del ’43. Fortunatamente quel giorno in casa c’era solo il cane Pallino ! Dalla finestra di questo appartamento vedeva un ‘ bugigattolo’ ( piccolo locale sottotetto con finestrina ) dal quale spesso scorgeva un braccio che lanciava sui tetti del liquido per svuotare un piccolo recipiente. Il gesto incuriosì Jolanda che lo riferì a Gino , il quale provenendo da una famiglia di pittori , intuì rapidamente che lì doveva abitarci un pittore che semplicemente svuotava il recipiente con la trementina. La curiosità spinse Gino e Jolanda a capire chi fosse il vicino artista e ben presto fu individuato : era Giovanni Bartolena già anziano e malandato . La vicenda che sto narrando si svolse nel 1936 , quindi Giovanni Bartolena ( nato a Livorno nel 1866 ) aveva 70 anni e la sua salute era già molto malferma tanto che pochi anni dopo , nel 1942 , morì praticamente da solo e nel completo anonimato presso l’ospedale civile. Mio padre Gino Guidi aveva individuato lo studio di Giovanni Bartolena ed un giorno , pur sapendo della ritrosia dell’artista ad incontrare persone ,si fece coraggio e bussò al suo studio. Venne ad aprire un vecchio macilento con un grande cappello in testa , toscano spento in bocca e calosce ai piedi ( era estate !!). Una confusione tremenda , un’aria irrespirabile in quel sottotetto saturo di odori di colori ed acquaragia , un grande cavalletto con un’opera in allestimento , tante altre tavole dipinte accatastate casualmente ai muri perimetrali , una brandina , un lavabo ed un braciere. Non conosco il contenuto del colloquio , per certo fatto di poche parole e tanti gesti culminati con l’acquisto da parte di mio padre di due quadri ( un paesaggio toscano con un carro trainato da due buoi bianchi ed una natura morta con datteri che molti anni dopo furono sacrificati in mio nome per l’acquisto della mia
prima cinquecento ! ( auto Fiat 500
Natura morta 1927 olio su tavola cm.39x41
Cenni biografici di Giovanni Bartolena
Nato a Livorno (1866-1942), Giovanni Bartolena ebbe da giovanissimo come maestro lo zio Cesare, autore di quadri di battaglie e ritratti. Nel 1886 si trasferì a Firenze, con l'intento di proseguire la sua formazione alla Scuola Libera del Nudo, sotto la guida di Giovanni Fattori, ma il proposito ebbe breve durata .Esordì al pubblico solo nel 1892, alla Promotrice di Torino; nello stesso periodo strinse amicizia con Signorini, Lega ed altri frequentatori del Caffè
Michelangelo di Firenze
Michele Gordigiani 1858 Ritratto di Cesare Bartolena olio su tela cm.83,5x64
Negli anni successivi cercò di dipingere con maggiore impegno ed assiduità per trovare il necessario sostentamento e nel 1898 si trasferì a Marsiglia ma, dopo sei mesi decise di tornare in Italia. Si stabilì prima a Lucca, poi a Firenze, dove rimase fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Nel 1915 andò in Versilia, a Fossa dell'Abate, ospite dell'amico Plinio Nomellini; nel 1917 Paolo Fabbrini, direttore del Corriere di Livorno, diventò suo mecenate consentendogli, per circa tre anni, condizioni di vita migliori.
Giavanni Bartolena 1925/30 -
Autoritratto olio su tavola cm. 50x43 Nel 1919 ritornò a Livorno , continuando a lavorare con poca fortuna economica ma nel 1925 avvenne un nuovo incontro , con il mercante di tessuti livornese Luciano Cassuto, che divenne suo mecenate. Fu lo stesso Cassuto ad organizzare la prima personale dell'artista, allestita alla Galleria L'Esame di Milano tra dicembre 1926 e gennaio 1927 e accolta favorevolmente dalla critica, in particolare da Carlo Carrà, che ne scrisse la recensione sulle colonne de L'Ambrosiano. Nel medesimo anno Bartolena espose anche a Bottega d'Arte a Livorno e al Circolo di Cultura di Bologna. Nel 1929, però si separò da Cassuto, pur continuando ad esporre: nel 1930 alla Biennale di Venezia, l'anno successivo alla Quadriennale romana. I pochi anni che gli restano da vivere sono avari di grandi soddisfazioni anche se comincia a vendere qualche quadro ed il suo nome comincia ad acquistare una certa notorietà . Morirà in grande solitudine all’ospedale civile di Livorno.
Foto Ciriello pubblicata su " Il Tirreno " del 7 ottobre 2002
Il pittore Guidi Gino è il primo a destra , il pittore Lepori è al
centro, a sinistra il pittore Lenzi.
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