Fabio Bertini è prima di tutto Fabio , un amico della pubertà, un vate della poesia giovanile che forma lo spirito adolescenziale predisponendolo alla acuta sensibilità che potrà , in epoche successive ,trovare i giusti approdi.
Ricordo e conservo gelosamente alcuni suoi pensieri tradotti in poesie raccolte in un libretto intitolato " La cittadella dei bottoni " ( poesie dal 1963 al 1969) dove, tra l’altro , pochi versi ( La noia in giardino ) immortalano il desiderio di analizzare fino in fondo il proprio io partendo dal semplice contesto ambientale, il minuscolo giardino di Casa Guidi.
Oggi è un professore universitario , uno studioso di storia di livello internazionale che mi ha inviato, in seguito ad una mia sollecitazione , uno scritto che vado a pubblicare con gioia nella pagina dedicata agli artisti di Casa Guidi.
Perché lui ne ha diritto ed è per me un grande onore.
Mauro Guidi
Dedicato a Ugo Canessa che mi chiese una "memoria" livornese.
Nell’affollarsi di memorie di una carriera scolastica talmente lontana da appartenere a decenni fa, i primi spezzoni si svolgono lungo la via che portava dal Voltone al Fosso del Mercato, alle Benci. Le Benci riemergono più attraverso le cose che attraverso le persone. Le maestre e i maestri sono figure sfumate, per l’averne cambiati diversi, salvo qualche immagine persistente, il direttore Corsi, elegante con baffi che richiamavano quelli di mio padre, ma un po’distante, il maestro Orsini, di quinta, che metteva un po’ soggezione. Restano di più a mente le cose, il grande ingresso, dove ricordo ammucchiati i sacchi della roba che portammo per l’alluvione del Polesine, e dove vedemmo una proiezione di Cielo sulla palude, di Genina, proiettato a noi forse perché percepissimo elementi di una moralità di cui non poteva che sfuggirci il senso. E ancora il vaccino contro la tubercolosi, in una stanzetta che non saprei certamente ritrovare della scuola, un pennino dell’antitubercolare graffiante la spalla, e la gita, in una mattina di sole, verso il viale Italia, per la festa degli alberi, in fila, con altre scolaresche, a piantare qualcosa (un seme? un alberello?), senza comprendere il senso di quell’operazione.
Per capire di più, dovevo andare oltre quella scuola, e raggiungere le Marradi, la scuola media di cui mi colpiva l’immagine di quel partigiano, di quei nomi, della scritta "Salvaste l’Italia, non morrete mai". Era più facile cominciare a capire e ricordare, questa volta, più le persone che le cose, ricordare Marta Bassano, quella piccola, impettita, rigorosa, sferzante e incalzante, carissima, indimenticabile professoressa di Lettere. Incalzante sul latino, sui verbi, sulla grammatica, sul gusto delle etimologie, sul perché di ogni cosa e sul senso dell’impegno come una vestale del dovere, ma di un dovere pieno di senso. Proiettata a creare in noi, poveri di sostanze e di cultura, l’idea che lottando con noi stessi per sapere, per riuscire a dominare la lingua, a scrivere e a lavorare di cervello, compivamo insieme un dovere e un diritto.
E che questo fosse il suo intento, allora, si poteva capirlo subito, perché ogni lettura, le poesie imparate a memoria, i grandi poemi, spiegati puntigliosamente e con grande chiarezza, erano esercizi di vita e di temperamento alla vita. Come se vivere la quotidianità della scuola, con lei, fosse continuo inerpicarsi. Così, la battaglia epica tra Achille ed Ettore, il conflitto di Ulisse con Polifemo, era lo scontro di idealità e consapevolezza delle possibilità umane, e la cultura classica presentimento e discussione dei valori con cui ci saremmo dovuti misurare. Ebrea e italiana, orgogliosa di entrambe le cose, portava dentro un senso forte della tolleranza che esprimeva simbolicamente e direttamente, nella percezione drammatica della storia che si faceva presente e motivo di dialogo, nel suo rispetto per le cose di tutte le culture religiose. Non potevamo saperlo, ma portava dentro la grande lezione della cultura livornese.
Per questo ci mandò a raccogliere e tradurre lapidi ai cimiteri sulla via della Rosa, perché facessimo esercitazione di latino e intanto cogliessimo il senso di quei messaggi affidati al compianto. Per questo ci mandò a vivere la festa del 2 novembre alle tombe garibaldine dei Lupi, perché ci innamorassimo del Risorgimento. Per questo volle che imparassimo a mente l’Inno di Mameli e lo sapessimo interpretare drammaticamente senza concedere spazio ai risolini ed alla voglia di scherzare anche su quello che non ci mancava certo. Per questo faceva sì che fosse tanto difficile sottrarsi a quel continuo lavoro che ci proponeva, insieme a lei o a casa, e nell’osservazione della città.
Per questo ci dette una grande lezione di coraggio che, in lei, cultrice delle lettere classiche, rivelava la grande partecipazione al presente che costituiva la lezione più preziosa.
Accadde quando la cagnetta Laika volò nello spazio, primo essere vivente che travalicasse l’atmosfera, su uno Sputnik. Quella donna bassa, nel suo grembiule nero, che i più alti di noi stavano scavalcando, venne a scuola con una foto di Laika, ricavata – penso – da un giornale e incorniciata. L’affisse al muro e ci spiegò perché lo faceva, persuasa che in quell’occasione si stesse svolgendo una grande svolta della storia.
Tornando la mattina dopo scoprì che la foto non c’era più e seppe che l’aveva fatta togliere il preside, Lorenzo Conti, preoccupato che si potesse cogliere in quell’affissione un gesto politico. Ma non era così, era un gesto di fiducia nella scienza e nell’umanità ed era soprattutto, per Marta Bassano, un gesto di coinvolgimento e di riflessione su cui far misurare i suoi allievi. Su questo avvenne lo scontro tra quei due, il Preside e la Professoressa, ma non nel chiuso della Presidenza. Avvenne davanti a noi, perché, per la Professoressa di Italiano e Latino, non c’era altra sede per confrontarsi. Da una parte Lei, irremovibile e impettita, dall’altra lui, altrettanto bassino, sudato, che cercava di spiegare e spiegare, con crescente difficoltà.
Vinse naturalmente lei, che mantenne il quadretto attaccato e che aveva ancora volta fatto lezione. Questa volta, non tra passato e presente, ma tra presente e futuro. Quello che aveva teorizzato tante volte, parlando di coraggio civile e di dovere, l’aveva dimostrato ancora una volta ed era una lezione indimenticabile.
Fabio Bertini
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Il blog della famiglia Guidi Mauro di Livorno non ha scopi commerciali ma è solo la testimonianza di una famiglia livornese.
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